Prima Edizione 2007-2008
Solano Benitez
Paraguay
Si laurea nel 1986 alla Facoltà di Architettura dell’Università Nazionale di Asuncion; vincitore del “premio nacional de arquitectura 1989-1999” del collegio degli architetti paraguaiani; finalista del II “premio Mies van der Rohe de arquitectura latinoamericana”; rappresentante del Paraguay alle Biennali di Venezia, di Sao Paulo e di Lisbona capitale della cultura iberoamericana.
È stato invitato come docente nelle seguenti università: in Argentina, nella Università Nazionale di Rosario, Mar del Plata, Santa Fe, Oberà, La Plata, Tucuman, Resistencia, Buenos Aires; nella Università cattolica di Cordoba e di Posadas, nella Università Torcuato di Tella e nella Università Palermo di Buenos Aires; in Brasile, a San Paolo, nella Università Mackenzie, nella Escola de cidade, nella Università Statale di Sao Carlos, Umuarama e Belo Horizonte; in Cile, nella Università cattolica di Santiago, nella Università nazionale Andrés Bello e nella Università Diego Portales; in Ecuador, nella Università cattolica di Quito; a Panama alla Scuola di architettura ithmus; in Perù, nella Università Ricardo Palma e nella Università cattolica di Lima; in Spagna, alla Escuela Tecnica Superior de Arquitectura a Madrid, negli Stati Uniti nella Arizona State University, alla Berkeley University of California, alla San Francisco University e nella Harvard graduate school of Design.
Fondatore del Gabinete de Arquitectura, studio professionale che attualmente condivide con gli associati Alberto Marinoni e Gloria Cabral.
Tra le sue opere più recenti: Attrezzature per il tempo libero a Ytú (Paraguay), 1997-1998 (opera finalista del II “premio Mies van der Rohe de arquitectura latinoamericana”); Tomba a Priribebuy (Paraguay), 2000-2001; Sede della Unilever a Villa Elisa (Paraguay), 2000-2001; Casa Esmeraldina, Asuncion (Paraguay), 2002; Casa Fanego, Asuncion, 2003 (con Sergio Fanego); Casa Abu & Font, Asuncion, 2005-2006; Casa Las Anitas, San Pedro (Paraguay) 2007-2008; Edificio Alambra, San Lorenzo (Paraguay).
Solano Benitez è stato premiato con giudizio unanime della giuria, che ha riconosciuto nelle opere presentate (la tomba del padre a Piribebuy, la sede della Unilever a Villa Elisa e la casa Abu&Font a Asunción) una singolare forza espressiva e la capacità di coniugare una lucida rilettura della tradizione del Movimento Moderno ad un’attenzione sensibile al contesto in cui sorgono. Secondo il Presidente della giuria, Mario Botta, “la ricerca architettonica di Solano Benitez, elaborata in un contesto politico-economico problematico, con oggettive difficoltà operative, lontano dai processi produttivi dettati dalla globalizzazione, è apparsa di qualità sorprendente. Benitez usa, nella maggior parte dei casi, materiali semplici reperibili localmente, che gli consentono di raggiungere forme espressive di grande impatto e dall’intensa carica poetica; la povertà dei mezzi utilizzati risulta inversamente proporzionale alle emozioni che l’architettura riesce a trasmettere. I valori ambientali propri di quel contesto latino-americano si rafforzano nella loro identità attraverso architetture con inediti linguaggi, nuove tipologie e inaspettate qualità abitative.”
Scopri i progetti
4 vigas / Tomba del padre
Piribebuy (Paraguay), 2000-2001
«… sto costruendo un progetto che mi ha richiesto dieci anni di lavoro. Immagina un quadrato di 9 m di lato in un paesaggio molto particolare. Su due lati corre un piccolo ruscello di acqua cristallina con piccole cascate; lungo la diagonale corre un altro corso d’acqua, più piccolo, che definisce come un’isoletta, giusto lo spazio necessario prima che le acque si ricongiungano. Il quadrato è formato da quattro travi di cemento armato sorrette ciascuna da un solo pilastro. Per l’umidità delle rive del ruscello l’ambiente è ricco di vegetazione e dunque le travi s’intrecciano con il folto degli alberi e con le grandi felci, senza intralciare alcuna specie. Il luogo sarà dunque definito, esternamente, dalla struttura di cemento. All’esterno di ciascuna trave, dentro il cassero, sono state disposte foglie di amambay (una felce caratteristica di questi ruscelli) che imprimono il loro profilo nel cemento: un lavoro eseguito con l’aiuto appassionato del maestro Solanito, mio figlio maggiore. Il lato interno delle travi è ricoperto di specchi, così che lo spazio definito scompare una volta che ci si trova al suo interno. Dentro il quadrato, schivando le radici, all’ombra degli alberi, carezzata dal suono delle acque, c’è una fossa, pure di cemento armato… la tomba di mio padre.
«Ho affrontato il progetto sistematicamente e periodicamente nei dieci anni trascorsi dalla sua morte. E l’ho abbandonato con la medesima costanza con cui insorgeva in me la necessità di affrontarlo, per esaudire il suo desiderio di essere sepolto nella nostra casa di campagna a Piribebuy, a 84 km da Asunción, nel dipartimento della Cordillera, in un luogo da lui chiamato Los Pilinchos, succursale del cielo. Aver affrontato lungo tutti questi anni il tema della morte, e in particolare di una persona tanto amata, mi ha fatto attraversare tutti gli stadi immaginabili della malinconia, sola giustificazione alla mia inefficienza come architetto. Una volta entrati nel quadrato, attraversando il segnale delle travi nei quattro punti interrotti del perimetro, il luogo sparisce, l’aria si addensa con una tale forza centripeta che tutto il presente sembra integrato, in attesa del momento in cui ci siederemo accanto alla tomba, quando ogni presenza sarà assimilata dagli specchi che, nella loro infinita ripetizione dello spazio, la trasformeranno in un integratore centrifugo. Ricorda che l’altezza delle travi è quella solita di una balaustra, circa 1,10 m, e che quando ci si trova nel quadrato la vista corre dunque assai più in là della superficie di 81 m2 inscritta e risonante. Nello specchio io sto “lì” di fronte, fuori da me stesso, in un’altra dimensione, in un altro mondo che non è il mio mondo interiore, su un piano di uguaglianza e simultaneità con tutto il resto. Lo specchio è così la macchina che ci pone in una relazione diversa con i nostri simili: le persone amate che abbiamo perduto, perché l’oscenità della morte le ha strappate dal nostro fianco, o gli amori impossibili, perché non abbiamo mai incontrato né lo spazio né il tempo per realizzarli. Questa piccola opera ha per me, credo, un carattere esorcizzante e mi attendo che ne derivi un effetto positivo nella gestione dei rapporti con i miei fantasmi. Vorrei dirti che “l’invenzione di Morel” continua a dar frutti; anche se, influenzato dai miei amici brasiliani, sono tentato di spiegare quest’opera nel modo seguente: 4 travi, 4 pilastri, 4 specchi… e una fossa.»
Sede della Unilever
Villa Elisa (Paraguay), 2000-2001
Il progetto nasce da un concorso indetto dalla committenza per convertire un edificio industriale abbandonato nella sede della compagnia. Dopo avere stilato una classifica in base ai costi di costruzione, al progetto con i migliori requisiti funzionali veniva tolto il 15 % della cifra proposta e un ulteriore 15% a quello con la migliore corporate image (rispetto dell’ambiente, qualità dello spazio, sviluppo innovativo). Dunque poteva darsi una differenza del 30 % tra la proposta più economica e quella che meglio soddisfaceva le richieste della committenza. In questo modo abbiamo vinto il concorso. La calura paraguaiana (con temperature che possono raggiungere i 45-47 °C) impone in primo luogo di dispensare ombra. Farlo ricorrendo alle tecniche tradizionali di costruzione in laterizio avrebbe reso difficilmente realizzabile la proposta. Si trattava, dunque, di sviluppare un sistema di pannelli di laterizio prefabbricati, usando il suolo e la gravità come alleati. Una volta prodotti i pannelli, abbiamo sviluppato una procedura per metterli in opera, ricorrendo alla medesima logica utilizzata nella costruzione dei ponti, cioè facendo di ogni parte già costruita la base strutturale della successiva. Considerare il materiale come una materia permette di immaginare nuove forme muovendo da quanto già conosciamo, indipendentemente dalle procedure invalse, in modo tale che le nuove pratiche rispondano a sollecitazioni inedite rispetto alle tecniche costruttive tradizionali. Schermi di pannelli di laterizio prefabbricati a terra e montati come brise-soleil, tegole utilizzate come pavimentazione per proteggere la membrana impermeabilizzante del tetto e per evitarne la sovraesposizione ai raggi solari, vetri assemblati senza alcun profilo metallico per comporre volumi: non sono che alcuni degli esiti derivanti dalla massima austerità, intesa come valore e dispensatrice, contrariamente a quanto si può pensare, di nuova ricchezza: basta ricordare che per costruire l’edificio la compagnia ha speso soltanto il 17 % in più di quanto aveva destinato per arredare ed equipaggiare i 2500 m2 di superficie utile.
Casa Abu&Font
Asunción (Paraguay), 2005-2006
Le statistiche dicono che in America del Sud ogni secondo una famiglia subisce violenza ed è esposta al pericolo. Se soppesiamo questa sequenza di dolore, misurando da vicino la quantità di volte che il tempo della vita interrompe il suo corso, otterremo il totale di quanti chiedono protezione. Costruire per proteggere, una casa contro tutte le intemperie, quelle del sole e della pioggia, contro l’indifferenza, la paura e la solitudine, una casa come strumento di resistenza, dove torni ad annidarsi la vita. Una madre e i suoi molti figli, prolungamento della sua vita, altre sette famiglie e una ventina di nipoti, riuniti un sabato qualunque, forma il nucleo del programma; …e dopo l’esodo la nuova speranza. La vita è tenace: ciò che si adatta e si trasforma è l’architettura. Una pianta libera, al piano terreno, che conserva solo frammenti di aree di servizio, e le cui porte si aprono allo spazio sino a che casa e terreno siano una cosa sola. A rigore, lo spazio interno ed esterno coincidono nella misura in cui le aperture assolvono la funzione designata dal loro nome. Due travi Vierendeel di 14 m di luce sostengono la casa, che scarica il proprio peso su quattro pilastri lungo il margine del terreno; la distanza tra le due travi è di 11 m; travi longitudinali le collegano e le attraversano terminando in mensole per equilibrarne le tensioni interne. L’insieme è completato da un solaio in laterizio armato che introduce un supplemento di tensione nella parte inferiore del sistema. Gli altri due piani appartengono alla sfera privata (camere e luoghi appartati) e si difendono dalla calura paraguaiana. Un piano interrato ci avvicina alla temperatura gradevole del terreno, più fresca d’estate e meno rigida d’inverno, che promette e dona sollievo in un paese dove le temperature oscillano tra i +47 e i –2 °C. Il piano superiore, al contrario, cerca nell’aumento del volume d’aria un rimedio a tanta inclemenza. La sua sezione di 5 m di altezza rinvia a una spazialità che non coincide con quella dei comuni spazi contemporanei, ma che ripone tutta la sua energia nel conseguire e preservare questo volume d’aria. Dove non c’è molto, l’austerità è più che necessaria e la strategia per ottenerla è operare muovendo solo da quanto è indispensabile. Il laterizio è il materiale da costruzione meno costoso nel nostro paese e viene utilizzato sino al limite delle sue capacità, come pavimento, pareti e soffitto. Lisciature di cemento ricoprono tutto quanto si suppone in contatto con l’acqua; vetro e metallo compongono strutture fatte per sostenere porte di grandi dimensioni e pannelli di legno multistrato rendono ermetiche o espandono le funzioni e i loro spazi. La casa costa la metà rispetto agli abituali standard di mercato. Ogni tema è abbordato dal medesimo punto di vista, sollecitando il materiale affinché funga da struttura fondamentale senza ornamento. Il superfluo è abolito, perché non c’è denaro per comprarlo. Per tutto il resto… c’è Photoshop.